Sono caduto da 15 metri! Questo è quello che realmente mi è successo…

Qui c’è la storia di un infortunio, il mio e dei miei ultimi 65 giorni, dopo aver fatto un tuffo di venti metri circa dal crinale del Monviso mentre ero di ritorno dalla vetta.

E’ un po’ lungo, scritto di getto… ma è il rapporto di che cosa è successo ci sono tutti i dettagli principali. Forse lo scrivo più per me come una sorta di terapia aggiuntiva o per ricordarmi tra un po’ di quel giorno e di questo periodo e trarne i giusti insegnamenti.  

Ma andiamo con ordine, partiamo dall’inizio. 

LA PREPARAZIONE E LA SALITA

“Che si fa? Andiamo? C’è una finestra di bel tempo”.

24 ore in una settimana di pioggia, ultima chance per questa stagione. 

Nel mio sito si parla di sport. A volte gli sportivi si infortunano, succede anche se non dovrebbe. 

Spesso sento processi di tuttologi che sputano sentenze e a questo punto, visto che il protagonista della storia sono io, ho pensato di raccontarla ed analizzarla.  

Perché? Per spiegare che cosa mi è successo, forse per esorcizzare la paura, per dichiarare le mie ragioni e per chi da un opinione anche senza conoscere i fatti.  

La preparazione è stata minuziosa: ore di video, studi del tracciato, giorni di arrampicata, prove di dislivello e sviluppi. Nulla è lasciato al caso, sono pronto sotto tutti i punti di vista. 

Il tentativo di ascesa in giornata, seppur provante, è alla mia portata e date le condizioni meteo, non c’è un “piano B”. La via normale del Monviso prevede un pernottamento in rifugio e il tentativo alla vetta il giorno successivo, ma il bivacco è relativamente vicino al punto di partenza e non sono insoliti approcci diretti. 

H.00.30. Partiamo da Rivoli, da casa di Marco, il mio compagno e la mia guida. 

Gli zaini sono pronti, leggeri ma completi, le luci frontali cariche, acqua e cibo non mancano, lui alla guida, io a tenere compagnia direzione Pian del Re, in valle Po. 

La serata è tersa, la luna risplende, l’aria è fresca il viaggio dura circa un’ora e mezza, dove ci rilassiamo, parliamo del più e del meno e con il favore della sera  in dirittura di arrivo della tratta ed indisturbate dalla presenza umana, abbiamo la fortuna di incontrare caprioli e volpi. 

Sono circa le 2.00 e siamo veramente in avvio. L’aria è frizzante ma non ci punisce oltremodo e la stellata che ci accoglie è assurda! Vediamo una stella cadente mentre ci prepariamo, ed in 10 minuti i frontali sono accesi sui nostri capi, gli zaini a spalle e partiamo. 

Capisco che è il giorno giusto perché per organizzare i miei spuntini faccio partire il cronometro e il primo punto di verifica lo faccio al lago Fiorenza, un luogo che da bambino raggiungevo spesso con papà per andare a pesca. Avevo memoria di un tragitto di circa 20-25’ per raggiungerlo. Alla sua riva controllo l’orologio che non batte neanche i 10 minuti e siamo saliti senza strappi, del nostro passo. Gambe e fiato ci sono! La partenza è quella giusta. 

Vorrei condividere un mio pensiero di gioventù con Marco, ma appena prima di esprimerlo mi blocco e gli dico: “Ho una confessione da fare, ma te la dico appena torniamo alla macchina stasera”. 

Ci lasciamo il lago Chiaretto e il rifugio Quintino Sella alle spalle in 1h e 40’. Era in programma un caffè prima di proseguire ma arriviamo talmente presto che i gestori ancora dormono e quindi … niente! Si va…

Il passo delle Sagnette è davanti a noi, il primo punto del percorso dove si inizia a fare sul serio; guardiamo intorno se ci sono delle luci accese sul monte. Pochi segni di passaggio, praticamente nessuno. 

Mentre ero attaccato alle catene fisse e procedevo, riflettevo sulla strada che era esattamente come quella che avevo studiato: a dei pezzi molto aggressivi, si alternano tratti leggeri e metodologicamente mi sento di aver fatto bene il mio mestiere di tecnico. La flessibilità energetica è propio la caratteristica che ho cercato nei miei allenamenti, la capacità del corpo di ripristinare l’energia correttamente per la pendenza e la durata del percorso. Mi compiaccio nel mio silenzio!  

Il monte è davanti a noi, la sua ombra è enorme e il pensiero che sento è solamente uno: 

“Ma come faccio a salire fin lassù?” Ma lo scaccio e cerco semplicemente la via un passo alla volta. 

Il terreno è decisamente sconnesso e procediamo non senza fatica verso il bivacco Andreotti.

Sono circa 4h che marciamo e mi sto godendo veramente un’esperienza che aspettavo da 39 anni, perché in valle ci salgo praticamente da quando sono nato. 

Il sole finalmente sorge: è ora di spegnere le luci dei frontali e ci si appresta alla via di arrampicata che, seppure semplice, non è banale!

Ed ancora una volta in me matura la consapevolezza che il lavoro sulle pareti in cordata che ho fatto in questi mesi non solo è stata la scelta giusta, ma anche che pagherà. 

Salgo i torrioni con destrezza, non temo neanche per un secondo l’esposizione spiccata di alcuni passaggi, la via si fa delineata tanto più ci si avvicina alla vetta e quando arriviamo agli ultimi 50 metri che tornano di sentiero e vedi la croce di vetta ti si apre veramente il cuore.

Pensi di esser in paradiso! Sei in vetta al Re di pietra che hai visto da mille angolazioni e che in quel momento ti ha accolto alla sua corte! Ogni sforzo, goccia di sudore, acciacco muscolare viene ripagato per quei 10-15 minuti al sole di un giovedì mattina che per molti sarà nello stesso istante in una coda per il traffico in tangenziale da qualche parte. 

Sono le 8 del mattino circa ed io sono in un piccolo pezzo di paradiso! Non posso che esser grato, fare qualche foto ricordo e riprendere la concentrazione perché quella è la metà della prestazione e non il traguardo. 

LA DISCESA E LA CADUTA 

Concentrato forse più della ascesa, mangio qualcosa per esser certo di avere energie e mi idrato, prima di partire con la discalata. 

Incontri pochi, discesa cauta, madido di sudore per la temperatura che si alza, ma con il cuore che rallenta nel suo sforzo. Lascio passare un paio di coppie in ascesa, vedendo da vicino il loro sforzo. Marco mi precede di circa 100 metri, io lascio volontariamente lo spazio perché non voglio rischiare di sbagliare un appoggio e che il terreno dissesto crolli e lo possa eventualmente colpire. 

E poi… i ricordi si annebbiano! Un buco di minuti.. non saprei neanche a che punto della discesa fossi, il corpo mi scarica, cado come un albero abbattuto, senza organizzare alcuna reazione. 

Mi raccontano che volo per una ventina di metri. Non ho memoria del momento, solo qualche giorno dopo mi si manifesta un vago ricordo del primo colpo alla testa subito, che onestamente non so se sia più sogno, ipotesi o realtà. 

Mi riprendo all’arrivo dei soccorsi, sento e vedo il sangue copioso che sgorga dalla testa e chiedo che cosa sia successo. Sono dolente, ma lucido. 

Da qui ricordo tutto: la salita in elicottero, il personale medico che mi vuole tenere sveglio e continua a chiedermi come mi chiamo, il sangue che dalla testa mi finisce nell’orecchio e non mi permette di sentire bene. Sono sulla barella e provo a muovere braccia e gambe in autonomia e tutto mi sembra sotto controllo, non sono spaventato, ho bisogno di arrestare i giramenti di testa con gli occhi chiusi, programma non condiviso dai medici che mi chiamano ogni manciata di secondi preferendo vedermi desto. 

Arrivo al pronto soccorso e inizia una serie lunga di analisi, ignoro che ora sia e gli unici problemi che percepisco come veramente gravi sono il collare che mi soffoca (e che dopo un po’ mi allento in autonomia per qualche secondo, prima di esser subito risistemato dal personale medico) e la sete incredibile! 

Vivo una situazione surreale: un sacco di persone intorno a me a capire che cosa non andasse nel mio corpo con agitazione ed io con il problema principale del bisogno di acqua! Capirò solo dopo che non mi veniva concessa perché dovevo sostenere la prima TAC(di una serie..) cranica ed addominale e per l’esame c’era l’esigenza di essere digiuni. 

Scongiurano presto la frattura del bacino: meno male perché preventivamente, mi vestono una sorta di tutore che duole forte su un punto dell’impatto della caduta, e appena arriva l’esito della diagnostica, me lo tolgono. 

Mi tagliano i vestiti e mi vergogno molto mentre resto nudo e puzzolente durante i loro interventi.  Poi penso che saranno abituati anche a qualcosa di peggio, ma non mi consola di molto, mi distraggo solo pensando che mi spiace che mi abbiano tagliato la mia maglia Under Armour, era un regalo, ma tutto svanisce nel momento in cui arriva l’acqua da bere! Una gioia! 

Dopo le trasfusioni, la sutura, le Tac e diverse altre operazioni mi portano in reparto. Sono stanco, la testa gira in tutte le posizioni come una trottola data l’emoglobina sotto i tacchi, ma sono lucido e lo prendo come un buon segno. 

Da qui parte il processo di recupero. 

La ditta demolizioni Capuzzo annuncia il fatturato: gli zigomi rotti, frattura dell’osso occipitale e dell’osso frontale, frattura settima vertebra cervicale, un numero di punti si sutura non ben determinato in testa, 2 coste rotte ma cosa desta più preoccupazione sono le emorragie  interne alla testa e all’addome. L’elenco è ricco, ma sono vivo e mi basta come punto di partenza. 

Ci vorrà tempo e non sarà poco, ma avrò un’altra chance e non mi sembra davvero il momento di esser schizzinoso! 

PER FARE CHIAREZZA! 

Dell’incidente non ricordo nulla ma chi era con me lo ha visto e come in questi casi succede si rincorrono voci, spesso incontrollate. 

Si è detto che sono stato colpito da una pietra in caduta, addirittura che sono stato seppellito.

Ci tengo a precisare solo alcuni dettagli. 

  1. Ho avuto un malore, sono svenuto e ho battuto la testa, non c’è stata nessuna frana. 
  2. Se avessi commesso un’imprudenza non avrei problemi ad ammetterla. Ne ho fatte tante nel corso della vita, ma questo giro, mi spiace, non è una di quelle! 
  3. Quella mattina il mio sangue e la mia testa hanno deciso di fare una bizza e sono certo che se fossi stato in macchina o in casa avrei avuto ugualmente il mancamento e le conseguenze potevano esser uguali, se non peggiori. Ora bisognerà capire che cosa è successo nel dettaglio! 
  4. Prepararsi per fare certe ascese è obbligatorio. È vero che se fossi caduto nell’ultimo settore di salita sarei precipitato e non potrei raccontarlo, ma è altrettanto vero, che se non fossi stato pronto fisicamente, la caduta che ho fatto mi sarebbe costata ugualmente la vita. 
  5. La montagna è rischiosa come tutte le attività sportive, non è certo colpa del Monviso se quella mattina è successo questo episodio. In certi momenti le cose capitano, ho una visione un po’ fatalista se vogliamo, ma altrettanto posso dire con certezza che non fosse la mia ora.. 
  6. Le condizioni fisiche con cui ho preparato l’ascesa erano le migliori possibili, verificate e testate con precisione. Lo dico sempre ai miei atleti: si lavora per esser competitivi ma per vincere ci vuole anche un po’ di buona sorte! Io non faccio eccezione: la fortuna mi ha voltato le spalle qualche istante, ma poi è tornata dalla mia perché me la sono meritata con la mia preparazione e mi ha ridato la possibilità di sopravvivere. Sono un miracolato di certo, ma me lo sono costruito con ore ed ore di duro lavoro! 

Sono passati circa 65 giorni, ho appena dismesso il collare da un paio di giorni (.. ed è una vittoria!), ho la schiena molto rigida, la spalla destra dolente, ogni tanto ho ancora gli incubi, ho perso circa 7-8 kg di peso, ho fatto tac di controllo, risonanze magnetiche sia al cranio che alla colonna cervicale, lastre per la vertebra in statica e dinamica, visite dal neurochirurgo e dall’ematologo per valutare lo stato dell’arte del mio corpo e all’elenco se ne aggiungeranno altre. 

Ci vorrà del tempo per risanare i danni di questo episodio, ma gli sportivi conoscono gli infortuni e ne accettano i rischi. Farò tutto quel che c’è da fare, senza fretta ma con la massima determinazione a tornare, ma inizio davvero quasi ad esserci, manca ancora qualche dettaglio per tornare alla norma e far passare l’accaduto tra le esperienze della mia vita! 

I grazie da fare sono tantissimi, dai soccorritori e i medici, da tutti coloro che mi hanno dimostrato una straordinaria vicinanza nel  sostenermi con un messaggio o una chiamata. Le menzioni speciali vanno alla mia famiglia che si è adoperata ogni istante con tutte le problematiche del caso, senza mai farmi mancare nulla e senza giudicare neanche per un secondo l’accaduto ed accettando con me il confronto per capire che cosa fosse realmente successo e poi al mio compagno di avventura, maestro ed eroe Marco: non fossi stato con lui sono certo che a quest’ora non sarei tornato a casa.  

Il segreto che tengo dentro di me che avrei condiviso con lui resta al momento solamente mio. 

Lo svelerò quando tornerò alla macchina la prossima volta che avrò nuovamente raggiunto la vetta del RE di Pietra! Seguiranno aggiornamenti ma torno presto.. statene certi! 

Grazie!

1,00 €

1 Comments on “Sono caduto da 15 metri! Questo è quello che realmente mi è successo…”

  1. Ho letto il tuo racconto proprio dopo averti lasciato un sms nella segreteria ! Era X dire che quando ti ho incontrato sul ponte Isabella e mi hai raccontato l’accaduto sono rimasta senza parole, proprio conoscendo la tua preparazione . E non sono riuscita a dirti nulla ! Ma sono in tempo x dirti che se posso esserti utile in qualche modo..ci sono. Ti devo molto, tu mi hai aiutato in diversi momenti della mia sgangherata vita! So che sei molto orgoglioso ed hai fortunatamente una famiglia alle spalle! Ma comunque io ci sono!👋

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